FIDUCIA.


fiducia

Quando nel 1933 Franklin Delano Roosevelt, in occasione del suo insediamento alla Casa Bianca, cominciò a parlare dalla radio agli americani con i “Discorsi del Caminetto”, la Grande Depressione stava colpendo in maniera drammatica e inaspettata l’economia americana.

Non parlava dietro una scrivania, anche se nessuno lo poteva vedere, ma chiacchierava con i cittadini americani utilizzando un approccio ed un tono di voce più da conversazione che da proclama.

Roosevelt probabilmente non voleva soltanto che i suoi connazionali avessero fiducia nella sua capacità di risolvere i problemi della Grande Depressione, ma voleva creare un clima di fiducia negli americani in merito alla possibilità concreta di uscire dalla terribile situazione che stavano vivendo.

Tutto è cambiato. Oggi una persona che conversa con gli amici davanti ad un caminetto è probabilmente un vecchio noioso: non c’è polemica, nessuno alza la voce, non c’è il parlarsi sopra. Le uniche notizie oggi sono le cattive notizie, quelle forti e strillate, non quelle dette ed argomentate e più è strillata, più è importante. Le brutte notizie, si sa, vanno a ruba. Da quando la comunicazione passa attraverso il video, ed ancora più con i pervasivi social, bisogna attaccare qualcuno per fare audience, per esistere sui media. Non è vero solo nel discorso politico, ma un po’ in tutti gli ambiti (dai medici che ci parlano di pandemie, agli economisti che ci indicano la strada per risolvere i problemi della disoccupazione o del debito pubblico): oggi bisogna usare un linguaggio forte, spararle grosse.

Certo sono cambiati i media, ed ognuno di essi ha il suo specifico, ma se prima il media determinava il messaggio: “l’ho sentito al telegiornale” si diceva quando io ero giovane per dire che qualcosa era vero, oggi, anche per la quantità di comunicazione che ingeriamo ogni giorno, abbiamo bisogno di messaggi aggressivi, che urlino per attirare la nostra attenzione.

Il come si dice prende il sopravvento sul che cosa si dice.

Con i social gli slogan vendono di più di un progetto, e chi sa più distinguerli?

Perché Roosevelt aveva scelto la formula dei “Discorsi del Caminetto”? l’obiettivo era quello di creare fiducia: era necessario che gli americani avessero fiducia nel loro presidente e nella possibilità di risolvere la Grande Depressione.

 Che cosa è la fiducia? Secondo il vocabolario Treccani è un atteggiamento verso altri che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità.

Se dovessi indicare quali sono gli ingredienti fondamentali in ogni relazione umana certamente metterei al primo posto la fiducia, seguita poi dall’interesse. Acquisto un prodotto perché ho fiducia nel venditore o nella marca; nelle relazioni di amore, di amicizia o d’affari è il fondamento indispensabile, non c’è ambito che possa stare in piedi senza la fiducia. Che cosa è in fondo la burocrazia se non quel coacervo di regole, postille e incasinamenti che dimostra non solo la sfiducia verso i cittadini, ma anche verso lo stesso dipendente della Pubblica Amministrazione, che da noi non è il civil servant come dovrebbe, ma, appunto, il burocrate. E così per controllarne pochi si penalizzano tutti.

Quindi per dare fiducia bisogna valutare fatti, circostanze e relazioni, questi sono gli elementi che inducono ad avere un’aspettativa positiva nei confronti di qualcuno. Parliamo di una fiducia educata, figlia di conoscenza dei fatti e delle situazioni, non di un tifo da stadio o di una fiducia a priori. Una fiducia che attribuisce la delega a prendere decisioni nell’interesse di tutti, a fare fatti, che conferisce un sostanziale potere a qualcuno, che si tratti di un politico, un consulente, un esperto.

Mai come negli ultimi anni abbiamo assistito a due fenomeni contemporanei: da una parte il dirompere dell’antipolitica e dall’altra l’esaltazione dei tecnici.  Per una serie di ragioni diverse la classe dirigente, in particolare quella politica, ha visto ridursi in maniera profonda il capitale di fiducia di cui godeva e contemporaneamente è cresciuta a dismisura tra le persone la fiducia nella tecnica, al punto che spesso la chiamiamo scienza.

Certo la classe politica oggi è diversa, per decenni è stata figlia di una lunga selezione della specie, adesso appena eletto puoi trovarti a governare, eppure la complessità del contesto nel quale viviamo richiederebbe una più accurata selezione. Il merito e l’esperienza non contano più; conta il consenso misurato con i like. Siamo così arrivati alla mostruosità di “uno vale uno”, del dilettantismo eretto a merito. No. Sono le persone che fanno la differenza, sempre!

Per quanto riguarda la tecnica questa non è più solo lo strumento di cui disponiamo per risolvere problemi funzionali, è il mondo intero che ne è impregnato fino a farla diventare un fine, un valore, ma la tecnica in realtà ha solo la funzione di funzionare, non deve raccontarci nulla, non deve sostituire il pensiero, la visione o la capacità di scelta. Quindi puoi trovarti a governare o a determinare i comportamenti e le scelte dei politici perché sei un tecnico.

Oggi in Italia non abbiamo più fiducia nei politici, negli scienziati, negli economisti, nei giornalisti, nei magistrati e così via. Anche se certamente ci sono ancora politici, scienziati, economisti, giornalisti e magistrati seri.

Abbiamo bisogno di rimettere in ordine le cose. Non possiamo lasciare al virologo, all’economista lo spazio delle decisioni. Dobbiamo ritrovare il primato della politica poiché governare non è solo amministrare, ma è anche creare il futuro.

E noi abbiamo bisogno di ricostruire tutto. Non ci servono né politici dilettanti e improvvisati né tecnici infallibili e onniscienti. Abbiamo bisogno di gente seria per fare seriamente politica.

Costruire un rapporto di fiducia richiede la capacità di mantenere le promesse e di realizzare progetti. Si costruisce con il tempo e con i comportamenti, non con l’eleganza dell’abbigliamento, con il parlare forbito o con i titoli accademici.

Abbiamo bisogno di qualcuno che non costruisca il consenso su vuote promesse, su slogan o proclami, ma che ci parli delle cose che ha fatto e che sta facendo (non che farà) per risolvere i problemi: di persone che si assumano con coscienza la responsabilità di governare e che abbiano esperienza. Qualcuno che ci parli come se fosse “seduto in poltrona davanti ad un caminetto” e dica onestamente, senza vanterie, che cosa è possibile fare, che cosa si sente di fare, perché lo ritiene giusto, quali circostanze sono avverse e quali favorevoli.

L’Italia per non morire e per superare quella situazione strutturale che ha bloccato la crescita da almeno vent’anni ha bisogno di qualcuno che sia in grado di sottoscrivere con i cittadini un nuovo accordo basato sulla reciproca fiducia e su questa rimetta in discussione la sottocultura burocratica che ci strozza per i costi che genera e per le inutili complicazioni, e perciò sia in grado davvero di punire chi trasgredisce. Qualcuno che sappia attivare quel processo sociale ed economico complesso che faccia ripartire i territori, le imprese, il turismo.

I bonus per riaprire o i sussidi sono condizione necessaria, ma senza fiducia non usciremo da casa, non riattiveremo l’economia, non faremo tornare il turismo, non costruiremo un’alternativa ai ricordi di un lontano, splendido passato.

Forse ci manca il coraggio di scegliere un nuovo Roosevelt, oppure, purtroppo, semplicemente non ce l’abbiamo.