*Notti tragiche*


Questa volta ospito un amico ed un collega Totò Sciascia. io di calcio non ci capisco nulla, lui ha distillato dall’esperienza tragica della nazionale 8 lezioni che vanno al di là del calcio. Antonio
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La nostra nazionale è fuori dai mondiali al primo turno della competizione, e non uso a caso il termine “competizione”: il campionato del mondo è competizione pura, come quella che tutti i giorni tutte le aziende devono fronteggiare. Questa competizione, oggi, l’abbiamo decisamente persa.
Mi sono chiesto se la sconfitta degli azzurri può essere letta in chiave aziendale per potere trarre qualche insegnamento. Ho quindi chiesto a mio fratello Piergiovanni, uomo di marketing a La Gazzetta dello Sport, di fornirmi qualche ragione di questa sconfitta per poi cercare di leggerla con gli occhi di chi si occupa di strategia e politica aziendale.

1. C’è da dire che il mister Prandelli poteva contare su una rosa di giocatori non particolarmente brillanti. Certo, questa è frutto di qualche sua scelta (si pensi all’esclusione di Pepito Rossi o di alternative “pesanti” in attacco) ma soprattutto di molti infortuni (come quello di Riccardo Montolivo) e di una serie A che non prevede particolari campioni.
Le risorse a disposizione, in termini di quantità e di qualità, sono gli elementi su cui si costruisce e realizza la strategia: sono esse al centro del business model e della sua efficacia, per cui vanno acquisite, accumulate e disinvestite con grande cura, per potere disporre del miglior portafoglio possibile.

2. Condizioni sfavorevoli: i luoghi e gli orari a cui abbiamo giocato non ci hanno certo favorito. Abbiamo sofferto proprio contro due squadre sudamericane (Costarica e Uruguay) che a quel tipo di clima sono probabilmente abituate più di noi.La scelta dei tempi e dei luoghi (di produzione e vendita) nella competizione sono fondamentali.

3. L’allenatore ha costruito una squadra intorno a un paio di punti fermi: la testa geniale di Pirlo e i piedi esplosivi di Balotelli. Ma affidare il successo a un paio di fattori è troppo rischioso. Le eccellenze emergono (e i risultati arrivano) quando l’organizzazione è costruita attorno ad un’idea forte che permea l’intero sistema aziendale, su più elementi.

4. Non è stata sviluppata una politica di gioco precisa, mantenuta partita dopo partita, affinata e metabolizzata dai singoli. Né tantomeno ci siamo dotati di un sistema di gioco distintivo, un gioco “italiano”. Abbiamo cambiato pelle troppe volte (4-3-3; 4-1-4-1; 3-5-2), senza mai definire una strategia di gioco chiara e precisa. L’emergenza ha portato a soluzioni non previste, parse in taluni casi frutto dell’improvvisazione (il cambio Balotelli-Parolo).

La strategia aziendale deve essere sviluppata, adottata e praticata per potere portare a dei risultati soddisfacenti.

5. Il gruppo era spaccato fra due generazioni: la vecchia guardia, campione del mondo 8 anni fa, e i giovani inesperti, alcuni dei quali erano particolarmente pretenziosi (Balotelli, ricordiamolo, era al suo esordio in un mondiale). La compresenza di due generazioni è un’arma a doppio taglio: può rappresentare un’occasione preziosa per combinare l’esperienza con l’ambizione, le energie fresche con la saggezza, ma può anche portare a delle fratture, se il leader non è in grado di fare da ponte fra le generazioni (basti pensare alle dichiarazioni post eliminazione dei senatori Buffon e De Rossi). Così è stato per gli azzurri, e così spesso
accade nelle nostre aziende. Solo attraverso una buona convivenza fra generazioni si possono trasferire i valori aziendali dai vecchi ai giovani, perpetuando nel tempo il successo.

6. Il gruppo si è spaccato perché il conflitto che si è sviluppato non era incentrato sui contenuti, sulle idee, sul modulo: quello sarebbe stato uno scontro sano, che avrebbe portato a scelte e risultati migliori. Il conflitto è stato di natura personale, fra chi si comporta (non solo in campo ma anche fuori dal campo) in un modo più tradizionale e chi si comporta in un modo meno convenzionale. Si tratta di un conflitto deleterio per tutte le aziende, che solo grandi leader sanno gestire.

7. Cesare Prandelli, da qualcuno ironicamente ribattezzato “Cesare Brandelli”, nella partita decisiva ha schierato i giocatori che il popolo riteneva migliori, la coppia Balotelli-Immobile, per cercare il consenso, snaturando il suo progetto iniziale che non prevedeva uno schema di gioco a 2 punte. Non sempre – anzi, quasi mai – cercare il consenso porta a buoni risultati.
Meglio rischiare di essere criticato che rischiare di perdere: la leadership morbida del “volemose bene” fa gli interessi del leader, non dell’organizzazione.

8. E infine, lasciatemelo dire: forse non avevamo una vera e propria fame di vittoria, ma solo tanta ambizione, in una misura superiore alle nostre capacità, probabilmente enfatizzata dalla vittoria contro l’Inghilterra. La fame di successo degli uruguaiani, materializzatasi in modo non ortodosso nel morso di Suarez a Chiellini, in un modo o nell’altro ha portato alla vittoria dei nostri avversari.

La competizione è anche questo.

Totò Sciasciaprofile