*IL SUCCESSO SPERATO, RAGGIUNTO E PERDUTO*


3 coppe (1)Il commento finale di Totò Sciascia sui campionati mondiali di calcio è ancora una volta lezione di management e di vita! Grazie e buona lettura.

I campionati mondiali si sono conclusi ieri con la vittoria della Germania e ciò mi ha indotto a riflettere, col consueto aiuto di mio fratello Piergiovanni,  sul concetto di “successo”, una parola chiave nella vita delle aziende. Il successo RAGGIUNTO dalla Germania, quello PERDUTO dalla Spagna e quello semplicemente SPERATO di Argentina e Brasile.

–          Quello dei tedeschi è il successo RAGGIUNTO, ed è frutto di almeno 3 elementi.

1. Un approccio progettuale. Dopo le figuracce dei mondiali del 1998 e degli europei del 2000, la federazione tedesca ha sviluppato un vero progetto che l’ha portata ad avere oggi un gruppo di numerosi giocatori di alta qualità. Hanno riformato il calcio giovanile, facendo enormi investimenti in strutture e personale tecnico-scientifico, stabilendo regole ferree per le società calcistiche finalizzate allo sviluppo del vivaio (ad esempio, avere una squadra in ogni categoria giovanile a partire dagli under 12), creando un articolato e capillare sistema di formazione e selezione dei giovani attraverso metodi di preparazione fisica e tecnica codificati, e infine sviluppando di un sistema di controllo e certificazione delle squadre. Senza strategia, senza piani d’azione e senza sistemi di controllo non è possibile avere successo.

2. Un orientamento al lungo periodo. I bambini del 2000 sono diventati campioni d’Europa nel 2009 e oggi sono sul tetto del mondo. Un esempio su tutti: 26 giugno 2009, Europeo Under 21 del 2009, semifinale tra Italia e Germania finita 0 a 1. I due capitani erano Marco Motta e Benedikt Howedes: il primo, già nel giro della Nazionale di Lippi, era più quotato del secondo nonostante questi avesse già esordito in Champions League. Oggi, il tedesco è capitano dello Schalke 04 e titolare della Germania campione del mondo, mentre Motta è passato da quattro prestiti, due comproprietà, un paio di infortuni ed è alla ennesima ricerca di una maglia in Serie A per la nuova stagione. Ci vuole tempo per fare le cose per bene, lo sanno tutti ma spesso ce lo dimentichiamo. Teniamo anche presente che la Germania ha costruito anche una nuova generazione di allenatori vincenti, a cui si è concesso il tempo di costruire il successo (senza esoneri prematuri) proprio perchè chi governa i club e la federazione ha adottato un orientamento di lungo periodo. Vedi ad esempio il caso di Low che, nonostante una sonora sconfitta in semifinale nell’Europeo 2012, è rimasto saldamente alla guida della Nationalmannschaft fino alla vittoria. Pensare al futuro consente alle aziende di vivere, domani, un buon presente.

3. Una squadra unita, priva di quelle rivalità che hanno caratterizzato squadre perdenti come l’Italia (divisa fra “anziani” e “giovani”) o la Spagna (divisa fra giocatori del Real Madrid e giocatori del Barcellona). Quando Gotze ha segnato il goal partita, la Germania schierava in campo ben sette giocatori del Bayern Monaco, e comunque l’intero collettivo condivideva esperienze comuni nelle selezioni giovanili. Bisogna lavorare sul clima organizzativo tanto quanto sulle strategie. Sono infatti le persone, in gruppo, a realizzare i piani strategici. Se il gruppo non è affiatato, realizzare un progetto (adeguato o meno) diviene impossibile. Bella questa nazionale giovane e – caratteristica che non guasta – anche multi-etnica, pronta a dare fiducia a chi ha le energie giuste per vincere, indipendentemente dalle caratteristiche demografiche: uno spirito da adottare nelle nostre aziende.

–          Quello della Spagna (campione in carica ma eliminata in fretta e furia) è invece il successo PERDUTO. Il successo si costruisce con fatica, in tanti anni, e si perde in poco tempo. Questa squadra ha vinto tutto con il suo tipo di gioco, il “tiqui-taca”: il successo ti lascia credere, erroneamente, che non occorra cambiare strategia. Ma l’insuccesso deve sempre essere messo in conto, temuto, scongiurato attraverso un atteggiamento proattivo. Le altre nazionali studiano da anni come giocano le “furie rosse” e hanno quindi imparato a neutralizzare il loro temibile gioco, già messo recentemente in discussione dopo gli insuccessi del Barcellona: i competitor, prima o poi, sono in grado di contrastarci se non cambiamo.

–          Quello del Brasile (padrone di casa) e dell’Argentina (finalista) è infine il successo semplicemente SPERATO, costruito su delle individualità (Neymar da una parte e Messi dall’altra) più che su un collettivo. Ma i tornei, nella maggior parte dei casi, li vincono le squadre, non i campioni. Se il campione si fa male (come Neymar, duramente colpito alla schiena) o soffre la pressione (come Messi, talmente nervoso da vomitare in mondo-visione) la squadra perde. Non possiamo credere che l’azienda sia un “one-man show”, se vogliamo davvero che duri nel tempo. Come diceva Tony D’amato (alias Al Pacino) in “Ogni maledetta domenica”, o vinciamo come squadra o perdiamo come individui: il football è tutto qui…

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*Super Mario?*


Ospito ancora una volta, volentieri, un amico ed un collega Totò Sciascia. Io non so nulla di calcio, Totò qui parla di Balotelli e, ancora unBalotelli-magliettaa volta, ha distillato idee e raccomandazioni che vanno al di là del calcio. Antonio

1 minuto dopo il fischio del 90mo di Italia-Uruguay è scattata la caccia ai responsabili della sconfitta degli azzurri: il dito è stato puntato da molti (media, compagni di squadra e tifosi) su Mario Balotelli. Non mi permetto di criticare né l’uomo né il giocatore, ma le numerose accuse che gli sono state mosse, e più in generale il modo in cui è descritto dai media, mi ha spinto a chiedermi se per caso in quelle caratteristiche si nascondano molti dei difetti che contraddistinguono le aziende nostrane.

In effetti è proprio così. Le critiche mosse a Balotelli, giuste o ingiuste che siano, ricordano alcuni punti critici che imprenditori e manager non possono trascurare. Dal confronto con mio fratello Piergiovanni, che lavora nel marketing de La Gazzetta dello Sport, sono emersi 5 fattori.

  1. Talento inespresso. Mario Balotelli ha talento da vendere: non a caso è stato soprannominato “SuperMario”.  Giocatore completo, capace di effettuare giocate mai viste prima, è in grado di risolvere le partite da solo con una semplice azione, un tiro da fuori, un rigore imparabile. Il problema è che spesso questo talento rimane inespresso. Mi ricorda molte imprese italiane, che dispongono di competenze uniche – soprattutto nei settori manifatturieri tradizionali – che non vengono messe a frutto.  Quando un’azienda gode di competenze uniche e difficilmente imitabili deve costruire attorno ad esse un business model che le valorizzi.
  2. Arroganza. Molto spesso Balotelli viene criticato e non sono rare le occasioni in cui ha risposto non ha riconosciuto le critiche mostrando un atteggiamento irresponsabile e poco maturo (si pensi al curioso siparietto con Boban e Marocchi al termine di un Roma-Milan finito sul 2-0). Nel business è importante sapere accettare le critiche a cui ogni giorno il cliente ci sottopone. Chi guida le aziende spesso si innamora del prodotto e non riesce ad accettare il fatto che il cliente non lo desideri più o non ne riconosca le sue peculiarità.
  3. Criticità relazionali. Seguitissimo su Facebook (7,4 milioni di like) e Twitter (2,6 milioni di follower), Balotelli si ritrova spesso solo in squadra, capace anche di sviluppare accesi litigi con i compagni (si pensi alle recenti liti con Buffon). Ma la presenza sui social non è sufficiente, alle persone e alle imprese, per garantire un sano equilibrio con i mercati di riferimento. Spesso si crede che il digitale sia l’obiettivo e non lo strumento per fare impresa.
  4. Tutto e subito. Dopo aver vinto la Champions nel 2010 aveva dichiarato di essere secondo solo al grande Leo Messi; al suo esordio mondiale invece ha affermato di voler vincere la coppa del mondo. Il successo duraturo è frutto di investimenti accurati e lunghi processi di apprendimento che richiedono anni di cura e affinamento. Le performance più solide sono quelle che le aziende costruiscono nel tempo, attraverso processi di crescita fisiologica e non con salti quantici: altrimenti si rischia di rimanere una “meteora”.
  5. Più cura della forma che della sostanza. Ormai fanno più notizia le forme e i colori della sua capigliatura (si pensi alla cresta bionda con cui è tornato dal Brasile), le cromie dei suoi bolidi, i tatuaggi e gli anelli, più che i suoi goal. Anche le nostre aziende spesso credono che la comunicazione sia talmente centrale da trascurare il prodotto. Rimettiamo il prodotto (la sostanza) al centro dei processi strategici e progettiamo la comunicazione in un secondo momento.

“Sbalotelliamo” le nostre aziende!

Totò Sciasciaprofile