“Pagare tutti per pagare meno” è soltanto uno slogan?


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L’ECONOMIA NON OSSERVATA, EVASA O ELUSA

La pecca più grande degli italiani, il loro vizio peggiore, il difetto più imperdonabile è la furbizia” diceva Franco Modigliani, premio Nobel per l’Economia nel 1985. Purtroppo questa è anche un’opinione diffusa, salvo poi scoprire che, tutto sommato, al più siamo dei “furbetti”, o forse siamo solo degli ingenui che si credono furbi, almeno a giudicare da quanto siamo facilmente manipolabili.

Una delle forme in cui l’italica furbizia si manifesta vistosamente è l’evasione fiscale: gli italiani sono accaniti evasori fiscali, questo è un fatto e molti pensano che sia questa la vera causa della pressione fiscale. Ad alimentare questo pensiero è la politica, amplificata dai media: quando siamo prossimi alla legge di bilancio la lotta all’evasione è la chiave per far quadrare sulla carta i conti dello stato. In questo modo Inoltre è facile individuare i colpevoli del disastro dei conti pubblici: i baristi, gli idraulici, i lavoratori autonomi e così via, veri criminali che rubano agli altri per arricchirsi smodatamente. E così si crea un’altra volta una doppia Italia: il lavoratore dipendente, ligio; l’autonomo o peggio l’imprenditore, specie quello piccolo e medio, furbo.

Non ci chiediamo qui quali siano le cause: la furbizia, la necessità di sopravvivere alla pressione fiscale, la legislazione complessa e incomprensibile che in questo modo favorisce chi può eludere, il cattivo uso che viene fatto delle tasse che versiamo, la paura che lo stato ci metta le mani in tasca, lo stato di polizia fiscale nel quale sentiamo di vivere, o altro ancora. Certo è che uno stato che intercetta il 59,1% del PIL e rende servizi che non sono certamente di adeguata qualità dovrebbe farsi qualche domanda.

L’evasione fiscale è un problema serio, e non è lo scopo di questo articolo giustificarla in nessun modo, non vi è dubbio, ma deve essere posto nella giusta prospettiva con una analisi che ci aiuti a capire meglio la natura, la dimensione e la realtà del fenomeno, concentrandoci sugli aspetti principali. Resta comunque il fatto che la fame dei conti pubblici, anche a prescindere dagli interessi sul debito, è tale che “pagare tutti per pagare meno” forse è soltanto uno slogan.

La fonte principale di questa prima parte è la “Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2019” del MEF, dove troviamo una tabella che riepiloga il gap delle entrate tributarie e contributive, gli ultimi dati si riferiscono al 2017.

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Il valore totale non riscosso ammonta a circa 110 miliardi, dovuti per 98 miliardi a minori entrate tributarie e 11 miliardi a minori entrate contributive.

Parlo di minori entrate e non immediatamente di evasione fiscale e contributiva perché già nelle note al documento si mette in evidenza che il gap complessivo relativo all’IRPEF da lavoro autonomo, IRES, IVA, IRAP, locazioni e canone RAI ammonta a circa 85,9 miliardi di euro: di cui 14,1 miliardi sono ascrivibili alla componente dovuta a omessi versamenti ed errori nel compilare le dichiarazioni, mentre il gap derivante da omessa dichiarazione ammonta a circa 71,8 miliardi di euro”. Immaginiamo che la natura degli omessi versamenti non sia esattamente la stessa della omessa dichiarazione, mentre nella vulgata giornalistica tutto viene considerato come evasione.

Analizziamo adesso le due voci più rilevanti: l’IVA per 36 miliardi di cui circa 26 non dichiarati e l’IRPEF per 33 miliardi, di cui 31 non dichiarati.

Il mancato incasso dell’IVA, che è la voce principale, è collegato all’IRPEF da lavoro autonomo: emergendo l’IVA naturalmente ci sarebbe minore evasione IRPEF.

Ma possiamo davvero immaginare che i nostri ristoratori, idraulici e altre tipologie di artigiani non abbiano complici in questa loro fraudolenta attività?

In realtà l’IVA è pagata dal consumatore finale ed è raccolta per conto del fisco dai lavoratori autonomi.

Immaginiamo quindi che certamente una parte di IVA non dichiarata sia dovuta a ricevute o scontrini non emessi fregando il cliente e lo stato, ma una parte non marginale è frutto di un patto scellerato basato su un semplice principio: non ti faccio la ricevuta così tu risparmi l’IVA e io ti faccio lo sconto.

Sono certo che non siano pochi gli italiani che hanno sollecitato o hanno aderito ad una proposta di questo tipo, vivendola come un legittimo risparmio e non come un atto criminale.

Dobbiamo anche ricordare che, oltre al secondo lavoro in nero, del quale non si riesce a tener conto affidabile, ma certamente diffuso anche per la necessità di integrare i redditi ufficiali, vi è una categoria di lavoratori dipendenti, spesso trascurata nel dibattito pubblico: quei lavoratori che forniscono servizi alle persone ed alle famiglie: badanti, babysitter e personale addetto alle pulizie domestiche. Sempre secondo lo stesso documento del MEF questi sono circa un milione, su circa 3,5 milioni di lavoratori non in regola, una parte dei quali è completamente a nero e 220 mila evadono parzialmente i contributi.

Per avere comunque una panoramica della situazione più completa è necessario tener conto anche di altre componenti che sottraggono al fisco, in forma diverse, importi molto ingenti: la cosiddetta economia non osservata definita sempre nello stesso documento del MEF come l’insieme del sommerso economico, dell’economia illegale, del sommerso statistico e dell’economia informale. L’economia non osservata e il gap delle entrate tributarie e contributive assieme vengono stimate pari a circa 190 miliardi di euro nel 2017, di cui poco meno del 50% è relativo all’economia non osservata.

Per fare un’analisi complessiva ci siamo basati su una ricerca di KRLS Network of Business Ethics, questa ricerca si concentra sulle tipologie di attori economici e non sulla tipologia di tasse, individuando 5 tipologie distinte:

  • lavoratori in nero secondo l’Istat sono circa 3,7 milioni di persone, molti di nazionalità straniera, compresi anche i circa 850.000 lavoratori dipendenti che fanno un secondo lavoro. Sono presenti principalmente nei servizi alla persona e alle famiglie, nell’agricoltura, nelle costruzioni, nei trasporti ed in altri servizi alle imprese. Si stima un’evasione d’imposta pari a 34,3 miliardi di euro.
  • economia criminale gestita dalle grandi organizzazioni italiane e straniere, ha un importante giro d’affari che produce evasione di imposta per 78,2 miliardi di euro l’anno. Di cui una parte non marginale è legata al traffico di stupefacenti (15,7 miliardi di euro) e che da solo genera un indotto per servizi (trasporti e logistica) pari a 1,3 miliardi ed alla prostituzione (4 miliardi di euro).
  • società di capitali il 78% circa delle quali dichiara redditi negativi o meno di 10 mila euro. In pratica su un totale di circa 800.000 società di capitali operative si stima un’evasione fiscale attorno ai 22,4 miliardi di euro l’anno.
  • big company internazionali o italiane che praticano principalmente l’elusione fiscale che in Europa vale circa 600 miliardi. Il 30% circa di solito si realizza ricorrendo al “transfer pricing”, grazie a questa pratica chiudono il bilancio delle loro filiali italiane in perdita e quindi non pagano tasse. In sostanza attraverso l’elusione spostano costi e ricavi tra le società del gruppo trasferendo la tassazione nei paesi dove di fatto non vi sono controlli fiscali (fonte: Università della California, Berkeley e Università di Copenhagen). In questo modo sottraggono al fisco italiano 37,8 miliardi di euro all’anno. Circa 7 miliardi di euro di questi sono da imputarsi principalmente a internet company.

Dove vanno questi soldi che derivano da una vera e propria evasione legalizzata?  Molti nella stessa UE dove a guadagnarci di più sono proprio i paradisi fiscali europei come l’Olanda, l’Irlanda, Il Belgio ed il Lussemburgo. Un esempio eclatante è Spotify che con 9 milioni di ricavi in Italia, paga tasse per 69 mila euro.

  • mancata emissione di scontrini, ricevute e fatture, tipicamente da parte di commercianti, lavoratori autonomi e piccole imprese, questa sottrae al fisco circa 8,7 miliardi di euro l’anno.

 

Queste analisi non tolgono né la gravità né l’iniquità dell’evasione fiscale e contributiva, ma mettono in evidenza che la criminalizzazione di alcune categorie, in particolare dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese è figlia di un pregiudizio ideologico ed è forse più funzionale ad un disegno politico e sociale che ad una onesta analisi di un fenomeno.

Se restiamo all’IVA e in parte anche all’IRPEF, l’evasione fiscale non è frutto di idraulici e falegnami criminali, né di baristi e ristoratori mano lesta; né di dipendenti che fanno un secondo o un terzo lavoro; non sono gli anziani e le famiglie che nottetempo rapinano lo stato con l’appoggio delle badanti e delle collaboratrici domestiche, ma una numerosissima “banda” di cittadini che, tutti assieme, trovando il loro vantaggio, vuoi per italica abitudine, vuoi perché ritengono che sia equo, sottraggono risorse allo stato.